martedì 13 febbraio 2018

Recensione: Riesenwurm

Titolo: Riesenwurm
Autore: Federico Lunardi
Editore: Robin
Pagine: 187
Prezzo: 12,00

Descrizione:
Porto di Shanghai. Un maldestro elettricista in trasferta di lavoro finisce sfortunatamente imprigionato in un container, all'interno del quale viaggia fino a raggiungere una regione remota, sperduta in qualche punto dimenticato della carta geografica. Raccolto in fin di vita da un gruppo di soldati che non parlano la sua lingua, è vittima di un terribile malinteso che lo conduce ai lavori forzati in un sinistro dedalo di gallerie. Lavoro duro e niente riposo, difficoltà di comunicazione, aria viziata, cibo schifoso, ma non solo. Le gallerie tremano, una minaccia silenziosa incombe sulla miniera, e cresce di giorno in giorno. Cos'è la poltiglia verdastra che i minatori sono costretti a raccogliere? Cosa infesta quell'oscuro labirinto? Per sopravvivere bisogna mantenere i nervi saldi ma, con schiavitù e paura a intorpidire la mente, basta un solo passo falso per precipitare nel baratro della follia. Come può un semplice elettricista, proiettato in un incubo terrificante, trovare il modo di salvarsi e tornare alla sua vita di sempre?

La recensione di Miriam:
Una banale giornata di lavoro: è quello che si aspetta il giovane protagonista del romanzo, quando approda al porto di Shangai in veste di elettricista. E fino all’ora di pranzo non ottiene altro che questo. È una piccola distrazione, una scelta poco ponderata a cambiare tutto precipitandolo in un vero incubo. L’uomo s’infila in un container aperto, giusto per cambiarsi la maglietta sporca prima di andare a mangiare con i colleghi, ma prima che possa uscirne, l’ingresso si richiude alle sue spalle. Inutile urlare e bussare contro il portellone: nessuno lo sente, probabilmente nessuno è già più nei paraggi. Dopo poco, infatti, il malcapitato scopre di essere in movimento, in viaggio per chissà dove.
Freddo, buio, sporcizia, solitudine (escludendo alcuni roditori invadenti e insidiosi), claustrofobia. Sono queste le sensazioni che riempiono la lunga, angosciosa, trasferta, insieme alla speranza di giungere quanto prima a destinazione, riconquistare la libertà e tornare a casa. Già perché un simile incidente non può che concludersi così… o forse no?
In realtà l’epilogo per lo sventurato è ben diverso. Quando la porta della sua prigione si apre, si ritrova in un luogo che non riesce a riconoscere, al cospetto di militari che non parlano la sua lingua e che non sembrano affatto amichevoli. Non gli prestano cure amorevoli né si interessano alla sua disavventura; al contrario, lo sequestrano e lo mandano ai lavori forzati.
Una specie di miniera sotterranea, piena di una strana poltiglia verde che odora di benzina: sarà questa la sua nuova “casa” per il prossimo futuro. Sarà qui che l’uomo, insieme a un gruppo di sconosciuti, anch’essi capaci di esprimersi solo in lingue che non conosce (eccetto uno cui si aggrapperà disperatamente), dovrà sgobbare e lottare per sopravvivere. La fatica fisica, l’aria pestilenziale, gli orari massacranti e le percosse non sono i soli ostacoli con cui dovrà confrontarsi perché in quei cunicoli sotterranei incombe un’altra minaccia. Qualcosa di orribile e letale, un orrore strisciante da cui difendersi per aver salva la pelle ma a cui guardare per ottenere le risposte che nessun altro sembra disposto a concedergli.
Se amate le storie in bilico fra horror e fantascienza, ricche di mistero e suspense, Riesenwurm è sicuramente pane per i vostri denti. Nello spazio di poche pagine l’autore riesce a calarci in pieno nei panni del protagonista  ̶  voce narrante in prima persona  ̶  facendoci percepire in maniera vivida il suo senso di oppressione, di solitudine, la sua paura e lo smarrimento. Sin dalle primissime righe cattura l’attenzione, creando un forte senso di attesa misto a disagio, legato all’impossibilità di presagire quel che accadrà.
La verità, agghiacciante, ci viene servita a piccole dosi, sicché la curiosità rimane altissima e, se possibile, cresce in maniera esponenziale man mano che si procede nella lettura.
Cos’è la poltiglia verde che i condannati ai lavori forzati devono raccogliere giorno dopo giorno? Chi sono i loro aguzzini? Perché il numero dei lavoratori diminuisce a ritmo vertiginoso e c’è un frequente ricambio? E soprattutto a cosa si devono gli scossoni che di tanto in tanto fanno tremare le gallerie mettendo tutti in fuga?
Sono solo alcuni degli interrogativi che scandiscono una vicenda da brividi.
Per ovvie ragioni non entrerò nei dettagli, lasciando a voi il piacere di scoprire quale segreto si nasconde in queste miniere dell’orrore e quali creature le infestano, vi anticipo solo che la scoperta vi sorprenderà non tanto per quel che la fantasia dell’autore ha partorito quanto per il messaggio che veicola. Il romanzo stupisce, intrattiene e regala scariche di adrenalina, ma nello stesso tempo si offre a una seconda chiave di lettura meno votata al divertimento e più impegnata. L’odissea del giovane deportato per sbaglio svelerà gradualmente una verità che chiama in causa un’invasione aliena e un progetto di sfruttamento messo a punto da chi governa il nostro mondo ma soprattutto metterà in evidenza la sconsideratezza e la stupidità di chi, accecato dalla smania di arricchirsi, finisce per mettere a repentaglio l’intero genere umano, compreso se stesso. Un atteggiamento questo che, se sganciato dal contesto fantascientifico in cui Lunardi lo colloca e ricondotto al nostro presente, acquisisce contorni fin troppo reali, offrendoci materiale in abbondanza su cui riflettere.
Mi sono ritrovato al centro di un affare grosso, redditizio, criminale” constaterà il protagonista giunto alla resa dei conti. “Quando si parla di certe cifre i diritti umani vengono messi da parte, altroché. Qualcuno, ai piani alti del palazzo, ha chiuso un occhio di fronte a certe cose. Ha sfruttato senza scrupolo una miniera d’oro caduta letteralmente dal cielo, mettendo a repentaglio la vita di molte persone e, temo, l’incolumità del pianeta stesso.”
Non vi suona paurosamente familiare?
Davvero un ottimo esordio coronato da un finale che personalmente ho apprezzato tantissimo perché, rinunciando al sollievo della speranza, sortisce l’effetto di un monito urlato a gran voce.








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