sabato 22 dicembre 2012

Intervista a Graziano Versace

Graziano Versace è nato a Belmore (Australia) il 16/02/64.

Laureato in Lettere Moderne, ha svolto per qualche tempo l’attività di psicoterapeuta umanistico-esistenziale. Attualmente insegna Materie Letterarie a Sant’Agata di Militello (ME).
Ha pubblicato un libro di narrativa per la scuola dal titolo Biglie colorate. Per San Paolo Edizioni ha pubblicato i romanzi Ladri di locandine e Tutto il mondo dentro. Il suo primo romanzo di fantascienza Raimondo Mirabile, futurista è uscito per Edizioni XII.



Benvenuto nel nostro salottino letterario. Domanda di rito per iniziare: chi è e perché scrive Graziano Versace?

Ho svolto per qualche tempo l’attività di psicoterapeuta, poi sono passato in via definitiva all’insegnamento. Credo che la scrittura sia qualcosa di connaturato, in me. L’ho sempre fatto. Siamo due aspetti imprescindibili. O, se vogliamo, la scrittura è una mia diciamo estensione naturale.



Parliamo di “Noos. Il canto del mondo”. Com’è nata l’idea?

Sono partito dal fatto che, nell’antichità, lo stretto di Messina, o quantomeno l’area marina circostante, rappresentava un punto di passaggio per le megattere. Inoltre, ho sempre considerato il Mediterraneo un bacino di idee ancora da sviluppare, specie in riferimento al periodo classico greco e latino.



Quali difficoltà hai incontrato nell’elaborare una trama che contiene riferimenti precisi al poema omerico?

Poche, in effetti. Tutto sembrava volersi incastonare all’Odissea. Mi è venuto quasi spontaneo associare i miei personaggi a quelli omerici. Certo, il sapore della modernità ha reso i miei forse meno solenni, però il tutto è stato compensato poi dall’aspetto fantastico/fantascientifico del romanzo.



Quale il tuo personale rapporto con l’Odissea? Cosa ti affascina maggiormente di quest’opera?

Il senso di mistero che aleggia sulla vicenda. Il fatto che nulla possa dirsi concluso, e che il viaggio sia parte integrante della vita degli uomini. E poi, Ulisse ha la curiosa peculiarità di assumere in sé mille sfaccettature, mille risvolti psicologici che, nei secoli, sono stati trattati da autori molto ma molto più illustri di me.



Il tuo romanzo ha un’ambientazione squisitamente italiana, ambientazione insolita per un romanzo di fantascienza e da te descritta con grande dovizia di particolari. Ti va i parlarcene?

Beh, io amo il Mediterraneo, e soprattutto le isole siciliane. Anche qui, in ognuna di esse, si sente un profumo di mistero che sa di eventi inspiegabili. E, credimi, ho sentito così tante storie “misteriose” sulle isole da poter scrivere almeno altri dieci romanzi.



Renzo e Roberto sono due amici ma sono anche due personaggi molto diversi tra loro. Come nascono? Ti riconosci in qualche modo nell’uno o nell’altro?

No, non mi riconosco in loro. Mi riconosco nel loro senso dell’amicizia, sentimento per me molto importante. E sì, Renzo e Roberto sono diversi, perché solitamente gli amici lo sono. Almeno, è sempre stato così per me.



I protagonisti del romanzo attraversano tutti un momento particolare delle loro vite, alcuni hanno perso qualcosa, altri ne sono alla ricerca e, forse, proprio per questo non esitano a lasciarsi coinvolgere in un’avventura incredibile. Quanto il desiderio, o il bisogno, di credere può spingere gli uomini a guardare oltre l’immediatamente visibile e ad aprirsi a nuove possibilità?

Bella domanda. Direi che il bisogno e il desiderio di credere sia alla base della ricerca esistenziale dell’uomo. Una persona che smette di desiderare, o di credere, è destinata a una vita più misera, o più ordinaria. Tra l’altro, penso che questa fede “in quello che sta oltre di noi”, come diceva A. C. Clarke, sia il motore stesso dell’evoluzione umana.

 

Tra le altre cose, hai svolto l’attività di psicoterapeuta umanistico- esistenziale e hai approfondito la ricerca sugli studi di Carl Gustav Jung dedicando particolare attenzione al sogno. Quanto tutto ciò ha influenzato la tua scrittura?

Tantissimo. Jung, per me, è stato (ed è tuttora) molto importante, proprio perché la lettura dei suoi scritti porta sempre a nuove idee e stimoli. Poi, il mondo onirico è un regno ancora da esplorare, e sono certo che, se un giorno si riuscirà a mettere insieme, e con la giusta sapienza, la miniera di dati a disposizione, verremo a conoscenza di aspetti dell’uomo che ancora possiamo solo immaginare.



Cosa puoi dirci a proposito della tua esperienza editoriale?

Beh, ho avuto la fortuna di conoscere le persone giuste al momento giusto. Loredana Rotundo, il mio agente letterario. Iaia Caputo, che mi ha insegnato tanto. E Bruno Nacci, consulente letterario che mi ha sempre ispirato. Senza di loro, non sarei qui. Questo per dire che queste figure – l’agente, l’editor, il consulente – sono molto importanti nell’economia del mondo librario e/o editoriale. Privarsene significa spesso non arrivare da nessuna parte.



Per ben due volte sei stato finalista al Premio Urania. Cosa ha significato e quali emozioni ti ha regalato l’aver sfiorato un simile traguardo?

Io sono cresciuto a pane e fantascienza. Per me, rappresenta un modo per pregare, o per avvicinarmi a Dio, o per interrogarmi sulla vita e sul mondo. Chi siamo, cosa siamo, dove andiamo, da dove veniamo. Potranno sembrare discorsi superati, ma non credo che ci sia qualcuno che li abbia dimenticati, o messi da parte. Sono le eterne domande che, secondo la mia modesta opinione, non smetteremo mai di porci, perché portano alla meraviglia e a un respiro arioso quasi adrenalinico.



La fine di un altro anno si avvicina. È tempo di bilanci e nuovi propositi. Quali i tuoi?

Bilanci più che positivi. Propositi, tanti. Un nuovo romanzo per San Paolo sugli esperimenti genetici nei campi di concentramento, Il ragazzo che giocava con le stelle, in uscita nel 2013. Un romanzo sulla scuola fascista che presenterò a breve. E un nuovo romanzo di fantascienza, così, per non smettere di sognare.

E per saperne di più...















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