sabato 27 settembre 2014

Recensione: I Giorni della Gallina Nera. L'Apocalisse a Roma

Titolo: I Giorni della Gallina Nera - L’Apocalisse a Roma
Autore: Caleb Battiago
Naraka World Serie #4
Illustrazione di copertina di George Cotronis
Formato ebook
Pagine: 35
Prezzo di copertina: € 1,49
Produzione indipendente
Disponibile su Amazon

Descrizione:
L’elezione di una Papessa transgender al soglio pontificio materializza l’Apocalisse di Roma. La cupola di San Pietro viene sovrastata da una grande Gallina Nera di latta, simbolo eretico del nuovo potere, che cova la croce. La città vive il dipanarsi, lento ma inesorabile, dell’Apocalisse. La vita sociale e religiosa viene rivoluzionata, la Papessa e il suo codazzo di cardinali armati di machete disintegrano con violenza le antiche tradizioni, col supporto di nuovi plotoni di efferate guardie svizzere e vicerè transgender che dominano i settori dello Scheletro di Metallo, una nuova città di hangar sventrati che ha preso il posto del vecchio aeroporto Leonardo da Vinci, dove sono imprigionate schiere di nuovi schiavi. Tornano in auge i sanguinari giochi del Colosseo, le antiche Naumachie, durante le quali chiatte guidate da oscuri rais ed efferati equipaggi si occupano della mattanza di post-sirene, donne che si sono ribellate al nuovo potere, assemblate con code di tonno, pescate e fatte a pezzi. Proprio come nel Medioevo, sono le donne le vittime privilegiate del regno eretico della Papessa. Quelle che rifiutano di farsi estirpare il Male dal corpo, l’utero riproduttivo, segregate nei “lebbrosari” delle Catacombe, dove attendono di vedersi purificare l’“immondo” ventre, prima di essere dissanguate e giustiziate.
Gli squarci, i ritratti della Roma della Papessa passano dal cortile del Quirinale, dove si è schiantato un meteorite, primo segno dell’avvento dell’Apocalisse, e dove sono organizzati eretici Sabba, a Ponte Milvio, nuova portaerei del sesso, fino a S. Maria in Trastevere, dove gruppi di preghiera di sanguinarie vecchie dame celebrano diabolici rosari borderline, affondando i sensi dentro viscere umane, e Via Prenestina, desertica periferia dominata da ratti, con coda e senza, che offre ai cittadini schiere di scatole di cemento armato e una morte imminente. I sogni, le speranze, la meraviglia sopravvivono nella grandi fogne, galleggiando tra scarti di scarti. La Roma della Papessa suona le sue mille campane ecolimbiche per chiamare a raccolta delitti e stupri, mentre le pattuglie papali, armate di lanciafiamme e mazze da baseball ferrate, controllano il rispetto del coprifuoco. Nella Terme di Caracalla, sottoterra, arcani culti mitraici pre-cristiani vengono rianimati, grazie a sanguisughe biomeccaniche in grado di riempire la grande cisterna della fossa sanguinis. Dai bastioni di Castel S. Angelo rimbombano le fucilate della Papessa, i colpi che schiantano piattelli umani, ribelli lanciati nel vuoto, con ali posticce incollate alla schiena, da catapulte elettroniche. Ai resti penseranno le orde dei gabbiani cloacali che hanno invaso la città. I Giorni della Gallina Nera raccontano, per la prima volta, la grande Apocalisse della città eterna. Una satira, violenta e grottesca, che affonda le gambe, fino alle ginocchia, nella sorgenti della storia, nel malato passato, nell’inquietante e mimetico presente, per mostrare il futuro, le estreme conseguenze, senza veli.
 
La recensione di Miriam:
 
Un nuovo girone si aggiunge all’inferno narakiano. Dopo aver esplorato Parigi e Berlino, esserci concessi deviazioni spazio-temporali in Terra Santa e in Messico, passando per la sacrilega Shanti, giungiamo a Roma, cuore pulsante di un mondo in degrado. 
La città eterna che si offre ai nostri occhi, non è rimasta immune al declino etico, al diffondersi dell’antropofagia, alla sete di sangue e sesso che ha travolto le altre capitali, piuttosto sembra aver assecondato l’onda con una naturalezza senza uguali. D’altra parte Roma, un po’ puttana lo è sempre stata e, di certi spettacoli si nutriva in abbondanza già in tempi non sospetti. L’idea è quasi quella di una logica evoluzione giunta al capolinea, o portata agli estremi fino a raggiungere il punto di rottura. Siamo nei giorni della Gallina Nera, quelli in cui si prepara l’Apocalisse, annunciata dallo schianto di un meteorite sul Quirinale e dall’elezione di una Papessa transgender. 
Rivoluzionaria, lei, nella sua doppia natura, rimane reazionaria nel suo ruolo e nell’anima, impugnando ora come nei tempi andati lo scettro dell’intolleranza. L’epilogo ha dunque inizio con una guerra intestina tesa a spazzare via le antiche tradizioni, una caccia alle streghe dal sapore medievale, sebbene condotta con mezzi avanguardistici. Non c’è spazio per i tribunali, la Santa Inquisizione ha fretta. Uno stuolo di criminali armati di machete è quanto basta per estirpare il male saltando i convenevoli. 
Ecco allora il Colosseo tornare al suo antico splendore per ospitare le Dagonachie, una rivisitazione della antiche Naumachie. A combattere non sono più i vecchi gladiatori. ma post-sirene − ovvero donne ribelli preventivamente sottoposte a un intervento chirurgico che le ha private delle gambe e le ha munite di code di pesce . Mentre la mattanza si consuma, gli arti tranciati girano tra gli spettatori estasiati sotto forma di polpette. Intanto, sul Ponte Molle (ex Ponte Milvio), prostitute assemblate ad arte con l’ausilio delle nuove tecnologie garantiscono un piacere sessuale privo di effetti collaterali. 
La riproduzione, infatti, è divenuta qualcosa di sconveniente nell’era della Galina Nera, un reato per cui c’è chi sconta la sua pena nei lebbrosari delle catacombe.  
Visionario, grottesco, blasfemo, questo nuovo concentrato narrativo firmato da Caleb Battiago, affonda le radici nel passato, nei suoi mali, nelle sue contraddizioni, mostrandoci i contorni labili del nostro presente e di un possibile futuro, attraverso la lente deformante di una satira graffiante che non concede sconti a niente e nessuno. 
Lo sguardo tagliente, ma che sa essere anche compassionevole e amoroso all’occorrenza, si posa questa volta soprattutto sulle donne, vittime privilegiate della Papessa non meno delle streghe nel medioevo. Se all’epoca erano perseguitate per atti che presumibilmente avevano commesso, adesso sono condannate semplicemente per ciò che sono: esseri umani dotati di utero e dunque della capacità riproduttiva. Si tratta di un “peccato” che non consente redenzione e che assimila lo sterminio posto in essere dalla Papessa alla pulizia etnica fomentata dal delirio hitleriano.
Umiliate, bistrattate, usate, chirurgicamente modificate per asservire le perversioni e i bisogni più disparati, le donne rappresentano tuttavia anche una minaccia per gli organi di potere poiché a loro, insieme ai tormenti, è riservato il sacro fuoco della ribellione. Non a caso toccherà proprio a una post-sirena, nel racconto di apertura ‒ che suona quasi come un ribaltamento in salsa splatter della fiaba di Andersen‒ , “prestarsi” a un uomo per testimoniare l’amore; un amore zoppo, malato, non scevro dell’orrore del sacrificio estremo ma pur sempre tale da produrre piccole crepe nel sistema e insinuarvi il seme del dubbio.
Lo stile narrativo crudo e dissacrante che sempre contraddistingue le opere di Battiago, in questo caso si somma a contenuti più forti del solito – se possibile – poiché le immagini esplicite, pregne di eros e violenza, non solo si spingono al parossismo, ma sconfinano nella sfera dell’ideologia religiosa, il che, per qualcuno, potrebbe risultare disturbante, forse, più della stessa antropofagia. Personalmente penso si tratti di un valore aggiunto, un tassello scomodo ma necessario per completare il puzzle di lucida follia iniziato con Naraka.


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