mercoledì 21 febbraio 2018

Review Party: Lo chiamavano Gladiatore di Andrea Frediani e Massimo Lugli


Buongiorno cari follower,
oggi vi proponiamo un nuovo Review Party, dedicato a Lo chiamavano Gladiatore di Andrea Frediani e Massimo Lugli (Newton Compton).
Un insolito thriller storico che, oltre a tenervi con il fiato sospeso, vi stupirà.

Titolo: Lo chiamavano Gladiatore

Autori: Andrea Frediani, Massimo Lugli
Editore: Newton Compton
Pagine: 384
Prezzo ebook: 2,99
Prezzo cartaceo: 10,00

Descrizione:
Roma, I secolo d.C., sotto l'imperatore Tito.
Aurelio fa fallire l’impresa che gli ha lasciato il padre e, minacciato dagli usurai, è costretto a farsi schiavo per i troppi debiti. Finisce così in una scuola di gladiatori: ha talento nell’arena, ma deve fronteggiare la rivalità dei compagni. Un aiuto gli arriva da Clovia, una donna senza scrupoli che, grazie a una misteriosa pozione, ha trovato il modo per potenziare le doti atletiche dei combattenti su cui scommette…
Roma, giorni nostri.
Valerio si è innamorato di una prostituta ed è determinato a liberarla dai suoi protettori. Da quando è finito sul lastrico, rovinato dal suo socio in affari, però, non ha più un soldo e l’unica sua fonte di guadagno sono i combattimenti clandestini di arti marziali. Per sopravvivere in quel mondo spietato, sarà costretto a ricorrere a soluzioni più estreme…
E questo, per quanto strano possa apparire, legherà il destino di Valerio a quello di Aurelio, vissuto duemila anni prima. Per entrambi i combattenti, dietro l’angolo si nasconde l’insidia che potrebbe distruggere le loro vite.

La recensione di Miriam:
Due uomini sul lastrico sono i protagonisti dell’originalissimo romanzo firmato da Andrea Frediani e Massimo Lugli. Gli sventurati non sono soci e nemmeno si conoscono, del resto non potrebbero giacché Aurelio Cecina vive nel I secolo d.C e Valerio Mattei è un nostro contemporaneo. In comune hanno il fallimento, una montagna di debiti che non sanno come ripagare e l’urgenza di trovare una via d’uscita da una situazione che li sta annientando. Questo è il sottilissimo ma robusto filo che gli autori utilizzano per creare un collegamento fra due storie dislocate nel tempo, che potrebbero benissimo reggersi anche autonomamente. Lo chiamavano Gladiatore, in effetti, si offre al lettore come un insolito contenitore letterario in cui trovano spazio due trame, all’apparenza indipendenti. L’accostamento, tuttavia, non è casuale né tantomeno forzato, anzi rappresenta la cifra distintiva e anche il punto di forza dell’opera, poiché genera un risultato davvero interessante. La vicenda di Aurelio e quella di Valerio si inseriscono in un ideale gioco di specchi, l’una sembra riflettere l’altra, deformandola attraverso la lente del tempo. Si parte da uno stesso incipit, il disastro economico, per poi assistere a un duplice sviluppo del plot, l’uno collocato nell’Antica Roma e l’altro ai giorni nostri.
Nonostante il divario di secoli, i due protagonisti compiono un percorso simile, nel tentativo di garantirsi la risalita. Aurelio si consegna a un lanista e decide di diventare gladiatore, sperando di ripagare i suoi debiti e ricomprarsi poi la libertà attraverso le vittorie nell’arena. Valerio, appassionato ed ex praticante di arti marziali, si invischia nel giro dei combattimenti clandestini, contando di risollevare così le sue sorti economiche.
Nell’uno e nell’altro caso si tratta di due soggetti che si improvvisano, che si lanciano in un mondo a loro sconosciuto, con tanto coraggio ma anche un pizzico di incoscienza, forse sottovalutando i pericoli cui vanno incontro o sopravvalutando le proprie capacità.
Entrambi si ritroveranno catapultati all’inferno. Aurelio dovrà fare i conti con la durezza degli allenamenti cui non è abituato, con le regole impietose e le privazioni che la vita nel ludus comporta, ma anche con l’ostilità degli altri gladiatori che lo considerano un intruso, e reputano quasi un affronto il fatto che abbia rinunciato volontariamente alla libertà per combattere, giacché loro la inseguono come il bene più grande.
Valerio si ritroverà, invece, nelle grinfie un boss malavitoso e da lì letteralmente gettato su un ring che, in barba a tutti i principi e ai valori su cui si reggono le arti marziali classiche, non riconosce regole e non ammette limiti: un autentico carnaio in cui ci si picchia senza pietà, spesso fino all’ultimo respiro.
In un certo senso, il contesto in cui viene catapultato Valerio è il corrispettivo moderno dei giochi gladiatori, una sorta di trasposizione nel presente di qualcosa che siamo soliti associare a un’epoca ormai remota. La sensazione che se ne ricava è proprio quella di un passato che non è rimasto confinato indietro ma ha attraversato la storia, trasformandosi e riattualizzandosi.
Altro elemento ad accomunare i due protagonisti sono le figure femminili, sia per Aurelio che per Valerio ci sarà una donna a segnare un importante punto di svolta nella vicenda. Per il primo si tratterà di una matrona, Clovia Materna, che lo prenderà sotto la propria ala (protettiva?) decidendo di farne il suo campione allo scopo di arricchirsi; per il secondo sarà una prostituta, Helena, di cui si innamorerà perdutamente e che gli fornirà un ulteriore scopo per cui combattere: guadagnare anche la sua libertà.
Entrambi si imbatteranno in un’antica leggenda celtica che sembrerà mostrare loro una via d’uscita, a un certo punto però le loro strade virtuali si separeranno per consegnarci due epiloghi radicalmente diversi  ̶  per altro tali da soddisfare anche gusti contrastanti.
Utilizzando due registri linguistici differenti, che ben si adattano ai periodi storici di riferimento, e tenendoci sulle spine con un ritmo incalzante, Frediani e Lugli ci garantiscono una lettura ricca di pathos e suspense, tale da tenerci inchiodati alla pagina. Uno dei thriller storici più innovativi che mi sia mai capitato di leggere, un esperimento ardito che a mio avviso colpisce nel segno, veicolando nel contempo un messaggio intramontabile: difficilmente un successo autentico e duraturo ammette facili scorciatoie.










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